Antonio Minelli
Nacque a Rovigo il 18 ottobre 1798 e quantunque appartenesse ad una famiglia che in altri tempi aveva goduto di una sufficiente agiatezza, è cresciuto fra le privazioni e gli stenti, resi maggiori per la morte del padre, avvenuta quando non aveva compiuto dieci anni.
Fu allora che germogliarono in lui quelle virtù che dovevano dare così buoni frutti e fare di questo adolescente un uomo non comune. Capì che bisognava avviarsi subito ad una professione che offrisse un vasto campo alla sua attività ed un premio adeguato alle sue fatiche; capì che qualunque essa fosse bisognava per riuscire nell’intento essere robusti, operosissimi, onesti, previdenti.
Preferì la stampa per la quale sentiva una speciale vocazione e che, arte nobilissima, lusingava il suo amor proprio e le giovanili aspirazioni.
Esordì nella prescelta carriera (12 maggio 1829) molto umilmente, come semplice apprendista compositore; ma sebbene senza una cultura qualsiasi, appena alfabeta, vi pose tanta passione e spigò tale una solerzia ed uno zelo intelligente da guadagnarsi in pochi anni, gradino per gradino, il posto più elevato, quello di direttore nella tipografia dei fratelli Miaggi, nella quale era stato accolto.
La stamperia predetta ( narra in un lodevole articolo sopra Antonio Minelli il giornale “ L’arte della stampa” del 29 maggio 1829) era priva di tutto quello che può costituire veramente un materiale tipografico; ma tale era e tanta la tenacia nel Minelli di volere esercitare degnamente questa nobile arte, che nelle ore di ozio si mise ad incidere caratteri da avvisi di forma gotica, romana e di scrittura della grandezza minima alla cubitale; e di questi ne fuse in getto, come fuse per primo la marginatura in piombo, increzioso (forse increscioso) nel vedere gli inconvenienti, le difficoltà, le inesattezze ed il tempo infinito richiesto dalla composizione per lavori di tabelle, modelli d’amministrazione od altro derivanti dalle marginature di legno allora esistenti e fornita da falegnami in tanti regoli ineguali.
Questi felici risultati e gli altri di gran lunga più lusinghieri furono la conseguenza logica, necessaria della temperanza della sua vita, della parsimonia, della rettitudine, del suo studio e del suo diuturno lavoro.
Gli fu d’uopo combattere molte e gravi e talora anche non prevedute difficoltà; ma per vincere si richiedeva in lui non l’audacia inconsiderata, ma la fortezza previdente e la ebbe.
Di costumi incorrotti, conservò la vigoria delle membra, e con essa e per essa quella dell’intelletto. Sdegnò sempre i molli ozii, ma di indole schietta e di ingegno vivace aveva bisogno di qualche distrazione, dedicò i pochi ritagli di tempo disponibile allo studio della musica alla quale specialmente inclinava. Cosciente del valore del tempo ne tesoreggiava gli istanti; si dava ad un lavoro diuturno, tentava, ritentava affaticandosi con lena, sospinto dalla idea fissa del dovere, e quasi che una voce interna gli fosse andata incessantemente ripetendo la inesorabile: VOGLIO .
Così toltosi a poco a poca dall’estrema miseria, si costituiva un modesto peculio dapprima, e quindi un abbastanza lauto patrimonio, procacciandosi così una pace serena e costante dello spirito, ripetendo sovente che il lavoro dà la salute e la felicità.
Acquistandosi una più che sufficiente agiatezza fu previdente, economo, ma gretto mai, proporzionando il suo consumo alle graduali risorse, avendo sempre cura di spendere al di sotto delle proprie rendite, ed in ciò sta il suo maggiore merito, non essendovi capitale senza risparmio, non progresso senza capitale, non indipendenza senza economia.
Come egli sia stato economo e previdente, il capitale da lui onestamente costituito, e che la previdenza non sia mai degenerata, ne fanno fede il suo concorso spontaneo e sollecito in ogni utile spesa che potesse tornare di decoro al suo paese.
A tale proposito è bene citare due circostanze le quali bastano per conoscere il Minelli. Ancora giovane di tipografia, con qualche risparmio si acquistò una posata d’argento, e più tardi coi proventi della musica un palchetto nel teatro sociale di Rovigo.
Così con queste virtù, da semplice operaio divenne direttore, e da direttore proprietario di uno stabilimento tipografico, coronando così il suo sogno da tempo agognato.
La fortuna che è dei solleciti e degli audaci gli arrise, perché si diede all’arte sua come ad ardua e santa impresa che vuol tutto l’uomo, e l’uomo animoso e costante per soffrire i patimenti, per durar le fatiche, per superare gli ostacoli.
Il Minelli non fu solo un uomo onesto e infaticabile lavoratore, ebbe ancora anima d’artista.
Dalla sua rara natura sortì una invidiabile intuizione delle proporzioni e della giusta misura in ogni cosa: dall’armonia dei colori, dall’euritmia ornamentale, e tutto ciò conseguito ad una mente positiva ed immaginativa ad un tempo.
Amò l’arte dai vari orizzonti, l’arte grande e vera, quella dei sommi maestri, che hanno riempito il mondo del loro nome e la fama dei quali durerà quanto il moto lontano: Gutemberg, Senefeld, Castaldi, Manuzio, Bodoni, ecc.
Come proprietario di tipografia, data la passione e la competenza di operaio non poteva il suo stabilimento rimanere privo di quei lavori che fecero stupire il mondo. Nel 1847 aggiunse la Litografia seguita subito dalla Cromolitografia, lanciando in pubblico lavori superiori per nitidezza, per disposizione artistica di linee, di ornato, per eleganza di vignette, di fregi, di svolazzi e disegni ornamentali ed architettonici a tutti quelli che venivano eseguiti nelle altre tipografie delle maggiori città d’Italia.
La prova luminosa della perfezione artistica dei lavori, i quali diedero fama al Minelli si trova nei manifesti eseguiti nel suo stabilimento per i teatri di Spoleto, R.Teatro di Barcellona, Atene, Nizza, Napoli, Firenze, ecc.
Nel 1839, in Piazza V.E., sotto il portico del Municipio, con una suntuosità pari alla sua competenza, vedeva la luce la grande libreria. Cartoleria A. Minelli.
A questo punto è bene sapere che egli è stato incoraggiato e sorretto dall’azione efficacissima di colei che fu la compagna della sua vita, la Nobile Luisa Kiriahi, nata a Rovigo nel 1807 morta nel 1867, donna di altissimi sensi e dotata di una vasta cultura artistico-letteraria.
Nel 1848, volendo appagare sempre più il suo desiderio ardentissimo di apportare nuovi miglioramenti alla propria arte, intraprese un lungo viaggio nelle principali città d’Europa, fermandosi a studiare ogni utile progresso tipografico.
Nel 1851 il Minelli si costruì un palazzo in via Angeli ad uso abitazione e tipografia. Adottò questa di due macchine da stampa una della Ditta Arbizzoni di Monza e l’altra formato ½ elefante acquistata a Lipsia.
Con tali macchinari, nuovi per Rovigo, poté dare ai lavori quella celerità e accuratezza da lui sempre agognata, non tralasciando di acquistare una serie copiosissima di caratteri, fregi ed attrezzi per la nuova legatoria. Con tali innovazioni raggiunse una eccellenza nell’arte invero straordinaria, eccellenza difficilissima allora, ma che oggi è comune anche in parecchie tipografie secondarie, grazie ai nuovi mezzi moderni.
Però a questo punto il Minelli, sebbene disponesse di mezzi migliori, i quali gli davano diritto di aspirare a maggiori successi, fece sosta e proseguì lentamente.
Sulla sua valentia bastano questi due esempi: la pubblicazione delle Memorie istorico-letterarie della Nobile Familia dei Conti Silvestri di Rovigo, fatta da lui nell’anno 1865; un bel volume in ottavo massimo, legato alla bodoniana e la stampa in ottavo grande sopra carta di legno fattasi venire appositamente dall’America e di un Discorso sopra il Giubileo di Dante Alighieri; volumi uno giacente presso l’Accademia dei Concordi di Rovigo, l’altro nella biblioteca del Seminario Vescovile.
Come non venne mai meno in lui la fermezza del volere e del fare egregiamente, così non le mancarono incoraggiamenti, attestati di fiducia ed onorificenze.
Dalla Menzione Onorevole conseguita nel 1838 per la rigatura a pettine mobile, altra sua esclusiva invenzione, passò alla Medaglia d’oro del Ministero dell’Agricoltura e del Commercio nel 1844 e da questa alla Medaglia d’oro conseguita all’Esposizione di Vienna e di una Spilla in brillanti da Vittorio Emanuele II.
L’Arte della Stampa di quell’epoca così scriveva: Antonio Minelli fu una gloria vivente dell’Arte in Italia. Nicolò Tomaseo lasciò scritto: Antonio Minelli tiene alto il decoro dell’Arte tipografica e continua la tradizione dei Manuzio e dei Bodoni.
Pietro Giordani, Aleardo Aleardi, Luciano Scarabelli tributarono pure elogi al buon gusto artistico del Minelli.
Non mancarono al Minelli innumerevoli attestazioni di stima e cioè: Membro e cassiere della Camera di Commercio e dell’Accademia dei Concordi; Membro della Commissione Municipale Edilizia; Consigliere d’Amministrazione della Banca Nazionale fin dal suo sorgere; Socio di altre Accademie Italiane; Cittadino della Repubblica di S.Marino e Cavaliere della Corona d’Italia.
Ed ora detto dell’operaio e dell’artista non rimane che a considerare l’uomo nei suoi rapporti familiari.
Il Minelli fu profondamente e sinceramente religioso, ma non bigotto, né intollerante.
La fede non menomò punto in lui ed impacciò la devozione alla Patria.
Amò questa come si poteva amarla da uomo del suo tempo e della sua condizione dandole un largo contingente di lavoro utile e accrescendone il lustro col lavoro stesso.
Vissuto in uno dei periodi più fortunosi, il più memorabile forse che la storia registri, ebbe ad essere spettatore di una lotta di giganti fra i più opposti pricipii di civiltà, sentendo rumoreggiare sopra il proprio capo la bufera politica scatenata dalle passioni umane, vedendo schiantati e dispersi li albori della libertà, sfasciarsi un impero che pareva destinato a sfidare i secoli; costruirsi la cosiddetta santa alleanza a danno dei popoli, ribadirsi ovunque le catene della schiavitù, e poi, man mano, diradarsi le nubi, farsi la luce, affermarsi, svolgersi ed attuarsi il concetto nazionale coi moti del 1821 e 1831 coi generosi conati parziali, con le rivoluzioni e le guerre dal 1848 al 1870.
Ciò era troppo nella vita di un solo uomo per aspettarsi che non sbalordito, non soprafatto da essi potesse prendere parte attiva ad avvenimenti così grandiosi.
Tanto più doveva esserlo per un semplice operaio come il Minelli: troppo giovane ed inesperto per apprezzare giustamente la situazione della prima fase, troppo vecchio per affrettare col proprio concorso quella del secondo.
Però egli vecchio salutò con giovanile entusiasmo il riscatto delle Provincie Venete dalla dominazione e mantenne fino all’ultimo la sua incrollabile fede e devozione alle libere istituzioni.
Uomo fatto da sé, a seconda del suo modo di vedere, amò la famiglia di quell’amore che poteva albergare in tale uomo.
Coi figli usò qualche severità e fu alieno da certe accondiscendenze che avrebbero potuto servire di invito alla imprudenza. Ebbe cinque figli ai quali diede quella educazione pari alla condizione.
Dal Minelli però non poteva essere dimenticata la sua città natia fornendola di una cosa che a quei tempi sembrava di impossibile attuazione. Nell’anno 1848, a proprie spese, edificò uno Stabilimento Bagni ed abbellì la città con quel palazzino gotico che ancora oggi noi possiamo vedere in via Minelli a ricordo della sua consorte e del figlio Gaetano, perito in Africa quale esploratore delle sorgenti del Nilo.
Ora, come posteri, chiamati a portare un giudizio che possa attenuare od accrescere la sua fama, la sua rispettabilità, noi abbiamo presenti la illibatezza dei suoi costumi, la rara, inappuntabile e specchiata sua onoratezza industriale e commerciale.
Dobbiamo sapere anche che egli fu padre amoroso, più che padrone dei suoi operai, coi quali ha sempre lavorato. Nei riguardi mutualistici il contegno del Minelli si riassume in poche parole: quando l’operaio non poteva essere presente al lavoro per malattia a questi veniva erogato non solo la stipendio, ma sua cura principale era quella di inviare subito il medico e fornire gratuitamente le medicine necessarie fino a completa guarigione, non mancando di visitare personalmente l’operaio.
Sul letto di dolore, dove una lenta, fatale, inesorabile malattia lo ritenne, senza speranza, ma pure rassegnato e calmo, per ben tre anni, più volte agonizzante, sempre sereno di mente, prevedendo prossimo quel fitto buio, cui nessuna alba segue, non pencolò l’animo suo, non ebbe pentimenti o incertezze, sempre desioso mirando là dove, egli credente, presentiva una seconda Patria senza confini, confortata da quella che fu la stella polare della sua vita: la probità.
Questo è il cittadino e l’operaio che la morte ci ha tolto il 17 luglio del 1889.
Per questo sentiamo ora il dovere di inchinarsi dinanzi a questa vera illustrazione del lavoro sebbene siano già trascorsi 69 anni.
Mancò a lui vivo, e manca alla sua memoria quella, che pare quasi necessaria fatale caratteristica degli uomini non volgari, l’aureola della sventura.
Sifatti uomini hanno però questo privilegio, che anche morendo più che ottantenni pare che muoiano troppo presto. Se il Minelli non fu un uomo di fama internazionale, ne aveva le qualità più essenziali: la spontaneità naturale, i nobili ardimenti, la costanza dei propositi, il senso intimo e squisitissimo del bello.
Ad esserlo completamente gli hanno nociuto l’ambiente ristretto nel quale visse ed ebbe a sviluppare le proprie forze, data la mancanza di grandi occasioni.
Il nome di Antonio Minelli appartiene alla storia dell’Arte tipografica, e comunque sia vero quanto asserisce lo Smils: ” I grandi scienziati, letterati ed artisti, gli apostoli dei pensieri magnanimi e generosi, non appartennero esclusivamente a una data classe, né a un certo stato sociale. Sorsero dai collegi e dalle officine; in città e in campagna; dal palazzo all’abituro, i più poveri conquistarono talora altissime cariche, e nessuna difficoltà, per quanto paresse insuperabile, poté arrestarli nella loro via. Anzi, in molti casi, furono proprio le maggiori difficoltà quelle che eccitarono gli umili al lavoro e alla perseveranza, destando in essi nobili energie che altrimenti sarebbero rimaste inerti.”
Più assai però che i perfezionamenti da lui introdotti nell’Arte grafica, più che i splendidi prodotti del suo lavoro è appunto l’esempio della sua vita, costantemente onesta ed operosa che è doveroso, ancora oggi, tramandare ai posteri.
Ed è di questa vita del lavoratore indefesso che incarna il principio del volere e potere, che la nostra Rovigo deve essere orgogliosa, senza aspettare che questi scarsi cenni venissero fatti da un semplice operaio tipografo, ma sempre innamorato dell’Arte grafica, sebbene per l’età raggiunta trovasi a riposo.
L’ammaestramento che ne deriva, come non si limita ad una classe soltanto di cittadini, non esclude né le più modesta esigenze, né le più ardite ambizioni, neppure quelle del genio, dacché il genio non sia altro che la pazienza.
Gioverebbe anzitutto che la classe operaia, alla quale appartenne e non disdegnò mai di appartenere, e più particolarmente ai giovani, nelle mani dei quali, e specialmente nel momento attuale è affidato l’avvenire dalla Nazione, questi cenni fossero bene ricordati e compresi sinceramente. Confortati da questi splendidi esempi devono dire a se stessi: Dobbiamo prefiggerci una nobile meta da raggiungere, dobbiamo essere altrettanto fidenti in noi, onesti, previdenti, operosi per raggiungerla, dobbiamo provvedere al nostro avvenire ed a quello dei nostri figli mettendo sempre dinanzi a noi le parole di quel grande filosofo: DIO, PATRIA, FAMILIA, LAVORO!
Rovigo, 9 novembre 1946
Bottazzi Pietro
veterano tipografo