Jamal Ouassini Ensamble Mediterraneo

 

“La musica é silenzio che si è fatto luce. I suoni di Jamal Ouassini sono come perle brillanti e trasparenti che ci illuminano nel buio della notte, quella notte che stiamo attraversando, lungo le nostre incomprensioni, lungo le nostre solitarie defezioni.

(Khaled Fouad Allam, marzo 2006)

 

Jamal Ouassini nasce a Tangeri (Marocco), dove studia musica arabo-andalusa, violino e musica classica al “Conservatoire de musique et de danse”, per poi entrare a far parte dell’Orchestra Andalusa di Tangeri come violinista. Si trasferisce in Italia e termina gli studi al Conservatorio di Verona, diplomandosi come violinista. Qui collabora per alcuni anni con numerose orchestre di musica da camera, sinfoniche  e liriche, insegnando contemporaneamente violino all’Accademia di Musica Moderna di Verona.

Nel 1984 fonda l’ensamble “Ziryab”, gruppo musicale formato da prestigiosi musicisti provenienti dai Paesi del Mediterraneo, che raccoglie grande consenso negli anni 1980-1990.

Tra le sue numerose collaborazioni teatrali e cinematografiche per la parte musicale, spiccano: “Federico II” di e con Giorgio Albertazzi, “Il viaggio di Mirnah”, “Il Castello Variopinto” e “Aladino” di e con Michel Poletti. Nel 1992 collabora alla realizzazione della colonna sonora del film “Uova di Garofano” di Silvio Agosti e successivamente di quella di “Nikebe” di Charlier Owens.

Dal 1996 al 1998 è direttore artistico del Festival “Musica delle Radici” di Bogara (Vr). Nel 1997 e nel 1999 cura la redazione di due saggi di musica arabo-andalusa per il Festival “Di Nuovo Musica” di Reggio Emilia. Nel 1999 fonda il “Jamal Ouassini Ensamble”, con il quale pubblica il Cd Al Kafila (La Carovana), seguito da un tour italiano, e partecipa al “Taranta Power Festival” nel progetto “Che il Mediterraneo sia” di e con Eugenio Bennato.

Collabora stabilmente con Moni Ovadia nello spettacolo Shir del essalem (Canti per la pace), dal quale viene tratto l’omonimo doppio Cd, prodotto nel 2002, che vede la partecipazione di Ouassini al violino.

Dal 2004 Jamal Ouassini è direttore artistico di “Ziryab” associazione culturale per lo studio e la promozione della musica del mediterraneo. Nel 2005 fonda la “Tangeri Cafè Orchestra”, con la quale pubblica il Cd dal titolo Tingitana (Promomusic, EGEA Distribution), con la partecipazione di Khaled Fouad Allam. Nel 2006 è da ricordare il concerto tenutosi nell’ambito del Festival della Letteratura diMantova, con la partecipazione di Khaled Fouad Allam e di Tahar Ben Jelloun. Nello stesso anno fonda l’ensamble “Encuantros” (compagnia di musica  e danza), che mette insieme 16 artisti dai diversi Paesi del Mediterraneo e con il quale mette in scena lo spettacolo L’ayali l’kamar, presentato al Teatro Grande di Pompei nell’ambito della rassegna Incontro Internazionale di Musica e Letteratura “Mediterraneo”.

Recentemente, oltre alle numerose performance concertistiche e agli stage tenuti presso università, conservatori e accademie, Jamal Ouassini ha collaborato con Cinzia Merletti nell’ambito di un progetto letterario-musicale che ha portato alla pubblicazione del volume con Cd allegato “Suggestioni Mediterranee”  (MMC Edizioni, marzo 2007), che contiene sia musiche che contenuti culturali dell’artista.

 

Componenti

Jamal Ouassini - Violino, Voce e Percussioni
Driss Mouih - Percussioni
Abdesslam Naiti - Kanun
Mustafa Bakkali - Oud (liuto)

 

Il concerto, nato nel 2006, è dedicato al popolo e alle tradizioni musicali dei Paesi del Mediterraneo.

Sul palco gli artisti intraprendono un vero e proprio viaggio musicale attraverso le antiche scuole della musica araba per raggiungere le diverse espressioni musicali di quest’area geografica.

L'Ensemble dedica una particolare attenzione alla musica del Marocco, proponendo sia una rivisitazione di brani di tradizione popolare sia composizioni originali di Jamal Ouassini.

 In questo concerto, ampio spazio si lascia all’improvvisazione, occasione che permette a ciascun esecutore di esplorare ed esporre al pubblico la molteplicità dei linguaggi e degli stili musicali che caratterizzano la tradizione musicale del Mediterraneo.

Jamal Ouassini parteciperà all’inaugurazione del Festival (venerdì 12 settembre, ore 17.00 nella sala concerti del Conservatorio di Rovigo, Corso del Popolo), tenendo l’incontro “Labirinto mediterraneo”, sulla tradizione musicale arabo-andalusa. L’Ensamble si esibirà invece nella cornice del concerto serale di venerdì 12 (Auditorium Cen.Ser, Viale Porta Adige, ore 21.00).

 

Intervista a Jamal Ouassini

 

Cosa si intende per “tradizione arabo-andalusa”?

Il termine “arabo-andaluso” si riferisce al momento storico, oltre che al luogo geografico, in cui affonda le radici questa tradizione. E’ il periodo della dominazione araba in Spagna, che va dal 711 al 1492, anno in cui vengono cacciati dal continente. E’ qui che cultura araba, cattolica ed ebraica si incontrano, in un ambiente in cui fioriscono arte e scienza, e attraverso influenze e contaminazioni si fondono insieme, dando vita anche a quelle scuole di musica e danza che ne hanno assicurato lo sviluppo e la sopravvivenza.

 

Se dovesse definire la caratteristica principale di questa musica tradizionale, quale sarebbe?

Le scuole sono di diversa provenienza, siro-libanese, irachena, egiziana ed è da qui che parte il percorso della tradizione musicale, traendo spunto non solo dalla cultura araba, ma da quella ebraica, quella gitana che ha origini in Asia, specie in india. La multiculturalità, quindi, è la caratteristica alla base di questo genere di musica, nata in un crogiolo di lingue, costumi, tradizioni, che vanno ad influenzare questa espressione, che in seguito si trasforma in qualcosa di originale, quasi vivendo di vita propria, direi. E il trasferire la poesia in musica, alla maniera araba.

 

Come avviene la diffusione di questa tradizione musicale, nata dalla contaminazione di tante culture diverse?

La prima scuola è quella di Cordoba, nata nel 1100 dagli Ziryab (artisti) di Bagdad. E’ qui che nasce una vera e propria Accademia, con espressioni musicali nuove, come accade nei moderni Conservatori, per poi influenzare le tradizioni musicali di tutta Europa. All’epoca è attraverso i ‘trovatori’ che tale forma d’arte si diffonde. Questi cantori, tra l’altro, suonano la ‘rebecca’, uno strumento che deriva dallo ‘habab’, arrivato in Spagna dal Libano. Anche la moderna chitarra deriva dal liuto arabo e questo solo per fare alcuni esempi di come le culture del Mediterraneo, in quell’epoca, si sono contaminate a vicenda. Il ‘kanun’, che noi abbiamo recuperato, fa parte degli strumenti medievali che si diffondono in Europa con questo sistema e dal quale deriva l’odierno termine ‘canone’, nel gergo musicale.

 

Lo spirito di questa settima edizione del Festival è certamente quello di recuperare le radici e le emozioni primordiali delle tradizioni musicali, più ancora che la loro spettacolarità. Cosa ne pensa?

Beh per noi musicisti, che la musica vada a  toccare le ‘corde’ del cuore di chi la ascolta è la prima aspettativa. Inoltre anche in passato con il trio chitarra – percussioni – violino, che noi cerchiamo di rimettere insieme, i musicisti volevano suscitare il ‘tarab’, quello che nel linguaggio flamenco si traduce con ‘duende’. Una sorta di catarsi in positivo, un’emozione forte, suscitata dalla musica, che entra nella sfera spirituale. Un vero e proprio abbandono alla musica.

 

Qual è l’apporto originale del suo gruppo alla musica tradizionale?

Non eseguiremo solo musiche arabo-andaluse, ma anche brani nostri. Non verremo a suonare musica medievale, perché noi siamo musicisti di oggi. Certo, recupereremo i frammenti dell’antica “musica di corte”, ma rielaborata attraverso la nostra esperienza e spiegheremo al pubblico come apprezzarla meglio.

Tenores di San Gavino di Oniferi

 

Francesco Pirisi – voce solista

Giovanni Pirisi – baritono

Carmelo Pirisi – contralto

Raimondo Pidia – basso

 

Nato negli anni Settanta nell’omonimo paesino della Barbagia, i Tenores di San Gavino sono oggi considerati la migliore espressione della vocalità della Sardegna centrale e la loro fama, dopo essersi diffusa in Italia, è arrivata anche all’estero (in Svizzera, Belgio e negli Stati Uniti).

Cuore del gruppo sono i tre fratelli Francesco, Giovanni  e Carmelo Pirisi, rispettivamente ‘sa boche’ (solista), ‘sa contra’ (baritono) e ‘sa mesu boche’ (farsetto o contralto). La quarta voce è quella del basso che, dapprima affidata alle corde potenti di Pietro Paolo, negli anni Novanta, a causa della sua prematura scomparsa, viene impersonata da Raimondo Pirisi. I toni più dolci della sua voce ammorbidiscono la musica polifonica del gruppo.

In particolare, dopo l’uscita del loro primo lavoro nel 1987 (una musicassetta dal titolo Tenores S. Gavino Oniferi), il cambiamento risalta nel loro secondo lavoro, A s’andira, il primo Cd prodotto dal gruppo nel 1994, proprio a Rovigo. Qui la maggior parte dei brani è costituita da poesie dell’autore contemporaneo Montanaru, i cui testi raramente sono impiegati nel canti a tenore, che sembra prediligere i poeti dell’Ottocento (come Mereu e Mossa Murenu), ma che testimonia la grande attenzione del solista Francesco per le parole da mettere in musica.

Nel 1999 esce invece Polyphonic Singing from Sardinia, per l’americana Music of the World, che contiene estratti dai due lavori precedenti più alcuni inediti, mentre l’ultima fatica della formazione di Oniferi è Su Banzigu, del 2000.

I Tenores di San Gavino di Oniferi saliranno sul palco venerdì 12 settembre e apriranno il primo concerto serale del Festival (Auditorium Cen.Ser, Viale Porta Adige, ore 21.00).

 

 

Intervista  a Giovanni Pirisi

 

Giovanni Pirisi, qual è la tecnica della musica polifonica a quattro voci?

Il gruppo si compone di una voce solista, due voci gutturali (il basso e il contralto) e un farsetto o “terza voce”. La peculiarità di questo sistema di canto arcaico è che le voci non sono modellate sulle parole. Solo il solista espone i testi, in settenari o endecasillabi, a seconda del motivo musicale, e decide anche il ritmo.

 

Una sorta di ‘regista’?

Sì, esatto. Anche perché questo tipo di musica da un lato segue una struttura ad antifona, in cui il coro risponde al solista; dall’altro però vede la fusione della voce solista con le altre tre e l’effetto sonoro che ne deriva è molto suggestivo.

 

Quali sono i temi delle poesie alla base dei canti, o dei vostri stessi testi?

Le modalità del canto a tenore sono diverse e cambiano a seconda dei temi, che possono essere più seri, e la musica sarà poco cadenzata, o più frivoli, proposti con canti più cadenzati, che di solito accompagnano i balli.

 

E per i balli che tipo di musica proporrete a Rovigo?

Noi eseguiremo tre versioni: il “passo torrau”, il “dillu” e il “ballu thoppu”. Quest’ultimo, letteralmente “ballo zoppo”, si esegue in cerchio e sarà particolarmente divertente per il pubblico. Per quanto riguarda i canti invece proporremo, tra gli altri, brani di “canto mutu”, musiche a sfondo amoroso con una struttura antifonica.

 

Quali sono le  origini di questa tradizione sarda?

Esistono almeno due teorie sulla nascita di questo canto. Seconda la prima si tratta di una riproduzione dei suoni del mondo animale, che risalirebbe a due millenni prima di Cristo. L’altra possibilità è che sia un’espressione musicale mutuata dal canto religioso, ma non esistono tuttora prove documentali in merito.

 

E qual è, secondo lei, la più probabile?

Personalmente, non credo derivi dal canto gregoriano. Preferisco pensare che sia nata nel sud della Sardegna nel periodo nuragico, perché non credo sia casuale il parallelismo esistente tra la struttura delle launeddas (le cui prime testimonianze risalgono appunto a quel periodo, dal ritrovamento di alcuni bronzetti che le raffigurano) e quella del canto polifonico. Le launeddas infatti sono costituite da tre canne, che corrispondono al trio basso-contralto-farsetto del canto a tenore, e, come quest’ultimo, le prime garantiscono la base della nota, mentre la terza ne permette la fioritura. Poiché la musica vocale precede quella strumentale, credo sia questa l’origine della tradizione.

 

Una tradizione che tuttora è tipica di una società agro-pastorale.

Sì. Nonostante noi musicisti non lavoriamo come pastori, questa musica è stata tramandata da loro nei secoli. Era, e resta, un’organizzazione sociale molto chiusa, per molti aspetti, ma io ricordo mio padre cantare, ed è così che ho imparato a vivere questa tradizione.

 

Con il suo gruppo siete stati anche all’estero. Qual è stato l’impatto che avete avuto, o il feedback che avete ricevuto, da un pubblico tanto lontano da queste origini?

Ricorderò sempre la nostra visita alla Old Town School of Folk Music di Chicago, uno dei più antichi conservatori degli Stati Uniti. Ci siamo esibiti per un’ora circa e alla fine del concerto uno degli spettatori ci si è avvicinato e ci ha detto: “Siete fortunati, perché sapete chi siete. Gli americani no, perché non hanno tradizioni”. Credo che questo sia il messaggio e la ricchezza che portiamo con noi.

 

Come avete vissuto il crescente interesse di un pubblico sempre più variegato e lontano per la vostra musica, nel corso degli anni?

Ne sono molto felice e ben vengano le occasioni di espressione e divulgazione, come il Festival. Si tratta di eventi in controtendenza con la globalizzazione che minaccia di farci perdere il senso delle origini ma, se pensiamo che gli animali sono i primi a tornare dove sono nati, quando stanno per morire, ne capiamo l’importanza.

Canto a Cuncordu di Castelsardo

 

Giovanni Cimino – basso

Michele Gaudo – basso

Giovanni Pinna – contra

Nicola Sirri – voce

Giovanni Maria Pinna – voce

Ezio Murtas – farsetto

 

Come il canto a tenore, anche quello a cuncordu è di norma a quattro parti maschili, ciascuna delle quali viene eseguita da un solo cantore specializzato che secondo tradizione è membro di una confraternita laicale.

Il gruppo di Castelsardo è nato nel 1990 ed ha alle sue spalle numerosi concerti in Italia e all’estero. Tra le ultime collaborazioni va sottolineata quella con il musicista Enzo Favata, insieme al quale hanno inciso due dischi, Boghes and voices e Made in Sardinia; e la partecipazione al progetto “Il itoe la Memoria”, ideato da Paolo Fresu. Con entrambi gli artisti continua la collaborazione, attualmente per la realizzazione di progetti sperimentali per la contaminazione di questo tipo di musica sacra con il genere jazz.

Recentemente il gruppo ha partecipato anche al progetto multimediale S’Ard di Mauro Palmas, per la regia di Rodolfo Roberti, nel quale sono confluite formazioni di generi diversi per sperimentare nuove contaminazioni.

I Canto a Cuncordu si esibiranno sia durante gli spettacoli in piazza Vittorio Emanuele II di sabato 13 settembre (dalle 17.00 alle 19.30), sia nel concerto serale di chiusura del Festival di domenica 14 (ore 21.00, Auditorium CenSer, Viale Porta Adige).

 

 

Intervista a Giovanni Pinna

 

Giovanni Pinna, in cosa consiste esattamente il canto a cuncordu?

Storicamente, è una musica che nasce dal canto sacro e qui in Sardegna era cantata nei monasteri già nel Cinquecento. Dal punto di vista tecnico invece è un tipo di canto che viene eseguito attraverso l’emissione di aria dal petto e si differenzia quindi dal canto a tenore, il cui suono è nasale e gutturale.

 

Il “Lunissanti” è considerato la massima espressione del canto a cuncordu. Di cosa si tratta?

E’ la celebrazione del lunedì santo, dopo la domenica delle palme. A Castelsardo si comincia tutti gli anni all’alba, con una rappresentazione sacra, seguita da un pellegrinaggio all’Abbazia di S. Maria delle Grazie a Tergu (12 chilometri), dove si mangia e si fa festa, per poi rientrare in paese la sera e concludere la giornata con una processione. E’ questo il momento più importante per il canto a cuncordu perché durante la processione si alternano tre cori (chiamati “Miserere”, “Sabbath e morte” e “Jesu”) ed anche se i canti sacri vengono ripetuti tutto l’anno, per noi è una tradizione molto sentita.

 

Ma il canto a cuncordu è anche musica profana.

Sì. In particolare ci sono due tipi di ballo tradizionale che si svolgono sul canto a cuncordu, il “bogi a passu” e il “baddittu”. Ma a Rovigo porteremo solo la musica sacra.

 

Da quanto tempo vi esibite in Italia e all’estero?

Personalmente ho iniziato all’estero nel 1979, partecipando al festival di Teatro e Musica di Nancy (Francia) e nel 1986 sono stato ospite di un festival di musica popolare a Houston (Stati Uniti). Con il gruppo nel 1990 siamo stati in tournée attraverso la Germania e nel 1999 abbiamo partecipato al Festival Mondiale di Musica Sacra dei Villaggi a Londra e l’8 ottobre prossimo saremo alla biennale di Venezia.

 

Il pubblico come recepisce la vostra musica, tenendo conto che vi esibite anche in luoghi molto lontani da quello di nascita della tradizione sarda?

Devo ammettere che all’estero il genere mi sembra più apprezzato. Ho notato un maggiore interesse all’ascolto e una grande curiosità. Per noi è molto importante il messaggio che portiamo, perché la nostra cultura è quello che siamo e ci teniamo a far capire al restodel mondo che la Sardegna non è solo mare e vacanze.

 

Parlando dei vostri progetti in corso d’opera, cosa ne pensa della contaminazione della musica sacra con un genere musicale come il jazz?

Credo che la contaminazione valorizzi la tradizione in cui questo canto antichissimo affonda le radici. I documenti che abbiamo a disposizione, ne testimoniano le prime forme nel 1500, ma la Sardegna fino al 1000 è stata bizantina e questa tecnica di canto ci deriva da loro, perciò deve essere anche più antica. Non credo ci sia pericolo di perdere le radici.

 

E i giovani ragazzi sardi dimostrano interesse per una tradizione così antica?

Certamente. Qualche nostro allievo parteciperà anche al Festival. Il più giovane ha 23 anni ma tuttora i ragazzi cominciano ad interessarsi a questi canti fin da piccoli. Dalle nostre parti è una tradizione fortissima.

Duo Gabriele Coltri – Tiziano Menduto

 

Originario di Noventa Vicentina e milanese di adozione, Gabriele Coltri è uno dei migliori suonatori di cornamusa in Italia. Componente di diverse formazioni di musica tradizionale (tra cui Calicanto, gruppo che interpreta musiche venete, di cui fa parte da oltre 20 anni), Coltri ha incontrato proprio a Milano il partner con il quale va esibendosi per tutta l’Europa dal 1994, Tiziano Menduto.

Vice direttore di “Folk Bulletin”, una delle più importanti riviste di musica e danza tradizionali, Menduto si occupa del recupero e della diffusione della musica e della danza tradizionale dal 1982, collaborando con associazioni e suonando in diverse formazioni, tra cui i Bric-à-Brac, di cui fa parte anche l’amico Coltri.

Insieme, i due musicisti 47enni propongono musica da ballo tradizionale con nuovi arrangiamenti, attingendo soprattutto dal patrimonio coreutico francese, scandinavo e italiano, per poi affidarsi alla loro creatività.

In occasione del 7° Festival di Musica e Cultura Popolare “Ande, Bali e Cante”, il duo Coltri-Menduto aprirà gli spettacoli in piazza Vittori Emanuele II , sabato 13 settembre (esibizione ore 17.00) e si esibiranno anche nel corso del Gran Ballo del sabato sera (Auditorium Cen.Ser, Viale Porta Adige, ore 23.45).

 

 

Intervista a Gabriele Coltri

 

Gabriele Coltri, che tipo di musica popolare che suona insieme a Tiziano Menduto?

Il nostro repertorio include balli di tutta Europa. Francia, Spagna, Inghilterra e Italia, naturalmente, soprattutto musiche tradizionali dell’Emilia Romagna e delle valli piemontesi, sulle quali cerchiamo di innestare la nostra creatività. Suoniamo insieme dal 1994.

 

In quali contesti vi esibite solitamente, oltre a festival di musica popolare come “Ande, Bali e Cante?”

Suoniamo ovunque si balli, specie nelle situazioni che danno spazio alle danze popolari, come le ballfolk o i folk club. La nostra non è una musica descrittiva, è fatta per chi ha voglia di ballare. E’ il recupero di un utilizzo diverso della musica, quello dei tempi in cui non esistevano i concerti, non è pensata per un pubblico di uditori. Il divertimento sta nel danzarla per il pubblico e nel vederla tradotta in danza per il musicista. In questo periodo, ad esempio, io sono impegnato in una serie di stage in Francia.

 

Quali sono le caratteristiche degli strumenti che usate?

Tiziano suona la fisarmonica, io la cornamusa. Ne uso di due tipi, la “musette” e la “cabrette”. Si tratta di strumenti originari della Francia centrale. Nelle nostre interpretazioni di solito la cornamusa è quella che serve a fare da sottofondo, che va seguita dal secondo strumento, ma a volte può anche essere il contrario.

 

Un’anticipazione sulla vostra performance rodigina?

A Rovigo suoneremo soprattutto musica da ballo francese, poi dipenderà dalla richiesta e dal pubblico anche. Il nostro scopo è vedere sempre più persone che ballano, perché se la musica è il recupero di un’emozione, il pubblico è lo specchio che ce la restituisce amplificata.

Lobas – Gianni, Davide e Cristina Mereu Davide Mereu (organetto) e Andrea Pisu (launeddas)

 

Una famiglia ‘d’arte’. Fondatore dei Lobas, di cui fanno parte i figli Davide e Cristina, Gianni Mereu è un cultore e appassionato divulgatore delle tradizioni popolari della Sardegna e collabora con gli studiosi e ricercatori in quest’ambito.

Studente universitario prima che musicista, proveniente da studi di chitarra classica, Davide Mereu è uno degli organisti più apprezzati per la sua interpretazione di musiche francesi ed europee, oltre che sarde, all’approfondimento delle quali si è dedicato in particolar modo.

Musicista di professione, Andrea Pisu invece, appena 24enne si è già affermato nel panorama internazionale, avendo la fortuna di essersi formato alla scuola del maestro Luigi Lai e del grande Aurelio Porcu, uno dei suonatori sardi studiati a fine anni Cinquanta dall’etnomusicologo danese A. F. W. Benson, che per primo ha attirato l’attenzione dell’accademia sulle tradizioni sarde, realizzando l’unico studio completo di registrazioni sulle launeddas. Andrea Pisu e Davide Mereu apriranno in duo il concerto serale di sabato 13 settembre (CenSer, Viale Porta Adige, ore 21.00) e si esibiranno anche nel corso del Gran Ballo che seguirà (ore 23.45), mentre tutto il gruppo dei Lobas salirà sul palco domenica 14 nel corso degli spettacoli in piazza Vittorio Emanuele II (dalle 17.00 alle 19.30).

 

 

Intervista a Gianni Mereu

 

Si può parlare di un recupero delle tradizioni sarde attraverso una rinnovata attenzione per i balli popolari?

In Sardegna la tradizione è sempre stata viva, non parlerei di recupero e nemmeno di ‘revival’. Piuttosto direi che parte della tradizione, prima un po’ trascurata, ora è stata ripescata e sta vivendo di nuova vita.

 

Il senso della settima edizione di Ande Bali e Cante va più verso un recupero delle emozioni ancestrali alla base delle tradizioni musicali, più che verso la dimensione spettacolare di queste forme d’arte. Cosa ne pensa?

Calza a pennello con il mio modo di vedere queste forme d’arte popolare. In passato facevo parte di un movimento folk in Sardegna, con il quale cercavamo di riproporre le danze della nostra terra nel modo più fedele possibile a qunto ci era stato consegnato dai nostri padri e dai nostri nonni, ma abbiamo dovuto (e tuttora è così per chi continua a lavorare in questo campo) sacrificare qualcosa alla dimensione turistica della nostra isola. Personalmente odio la spettacolarizzazione delle danze tradizionali e condivido la ricerca di un aspetto più profondo. Io ho rinunciato al gruppo folk per andare più sul ‘popolare’, per avere un contatto diretto con chi è veramente interessato ed approfondire gli stimoli che ne ricevo, perché è dalle domande di chi ascolta che io posso ampliare i contenuti della mia musica, reinterpretando continuamente un’eredità che deriva dal passato e che non muta.

 

Quali sono gli elementi di originalità portati da questo recupero?

Beh molto semplicemente 20 anni fa non mi sarei mai sognato di girare l’Italia suonando musica sarda, né che qualcuno dimostrasse un interesse culturale per le launeddas o l’organetto. Nello specifico, Andrea e Davide hanno formato un duo molto originale, mettendo insieme due strumenti, l’organetto e le launeddas, che di solito non sono accostati l’uno all’altro, e trovando una perfetta sintonia.

 

E come è nato l’interesse al di fuori della terra d’origine di questi balli?

Attraverso il nostro lavoro credo. Noi per anni abbiamo organizzato stage di danza e l’abbiamo fatta conoscere in ogni occasione possibile, davanti a qualsiasi uditorio. Quando insegno io non spiego solo la danza, ma la cultura, quella che ho respirato attraverso il contatto continuo con gli anziani della mia terra.

 

Ed ora la vostra cultura arriverà anche a Rovigo…

Certo. Nel mio gruppo oltre a me ci saranno i miei figli Davide, all’organetto, e Cristina, per la danza, oltre all’impareggiabile Andrea Pisu, professionista delle launeddas. Nei contesti giusti portiamo con noi anche i nostri costumi tradizionali e Rovigo sarà uno di quelli. Dopo aver vissuto la scorsa edizione del festival da spettatori, parteciperemo con molto entusiasmo quest’anno.

 

Una curiosità. Qual è l’origine del nome del suo gruppo?

“Lobas” significa “coppie”. E’ un termine molto ricorrente nella lingua sarda, non solo in ambito musicale, ma nello specifico si riferisce alla struttura delle launeddas. Delle tre canne che le compongono, le due legate insieme si chiamano “sa loba”, “la coppia”.

Mellano Compadres

 

Musicista 52enne originario di Torino, Giancarlo Mellano ha studiato chitarra classica al conservatorio di Alessandria, con il Maestro Angelo Gilardino, e ha compiuto studi di armonia e contrappunto con il Maestro Raffaele Cristiano a Torino. La passione per il Flamenco lo ha portato a studiare a fondo quest'arte così poco conosciuta in Europa diventando uno dei pochi esecutori a livello concertistico in Italia. Ha fondato il Mellano Compadres, una formazione artistica variabile da due a dieci componenti tra musicisti e ballerine, con la quale si esibisce in concerto.  Dopo aver collaborato per anni con numerose formazioni cameristiche del nord Italia (tra cui l'orchestra sinfonica del Teatro Regio di Torino e l'orchestra di musica leggera della RAI), Mellano ha cominciato a diffondere la cultura flamenca chitarristica attraverso seminari, stages, conferenze e cicli di lezioni incentrate sulla tecnica strumentale, l'espressione, i Compàs ritmici, la chitarra da concerto e d'accompagnamento flamenca.

I “Mellano Compadres” si esibiranno per “Ande, Bali e Cante”, nel concerto di chiusura serale di domenica 14 settembre (Auditorium Cen.Ser, ore 21) proponendo al pubblico un mix di tradizione ispano-italiana di Flamenco arricchito di elementi Jazz.

 

 

Intervista a Giancarlo Mellano

 

Giancarlo Mellano, quando è nata la sua passione per il Flamenco e per la musica popolare andalusa?

Ho scoperto questa passione più di vent’anni fa. Anche prima suonavo, ma la mia formazione è stata più sulla musica Classica, poi si è evoluta nel Rock’n’Roll, ma nessun genere mi ha mai coinvolto come il Flamenco. Quando l’ho sentito per la prima volta ho sentito subito che il mio strumento sarebbe stata la chitarra.

 

Quali sono gli elementi innovativi della sua musica?

Insegno Flamenco e Jazz di professione, soprattutto a Padova, dove abito. Nella pratica, applico la tradizione Andalusa del Flamenco alla melodia del Jazz per creare musiche innovative che poi porto ai miei concerti in giro per l’Italia e in Francia, organizzando spesso anche stage.

 

Quali sono gli elementi originali della vostra musica rispetto al flamenco tradizionale?

Il Flamenco è una forma musicale con una sua struttura melodico-accordale specifica che è fondamentale rispettare ma dentro la quale possono trovare posto culture e tradizioni di ogni genere. Basta rispettare gli accordi e la melodia, un po’ com’è successo per musiche tradizionali italiane come la Taranta o le canzoni napoletane reinterpretate da Pino Daniele. Su una base tradizionale l’artista cerca di inventare, aggiungendo la sua esperienza.

 

Qual è stata l’evoluzione di questo genere musicale?

La grande differenza l’ha fatta la melodia, una volta innestata su un patrimonio tradizionale, un po’ come è successo per il Blues nei confronti della musica popolare, che altrimenti sarebbe morta. Il musicista che reinterpreta un patrimonio tradizionale, cerca sempre di arricchirlo della propria esperienza personale. L’importante è sempre rispettare i canoni del genere, per il resto tutto si può sperimentare.

 

Quanti sono i ‘Comaparades’ e come si compongono?

Suono con un gruppo che può andare da 2 a 20 elementi. A Rovigo saremo in sei: oltre a me, che sarò alla chitarra, un altro chitarrista, un percussionista, due ballerini e il ‘catahor’ Pedro Serrano, di Barcellona, molto bravo davvero.

 

Quale sarà la tradizione che cercherete di trasmettere al pubblico rodigino?

A Rovigo dimostreremo come il Flamenco posa essere una musica di comunicazione, ad esempio. Io interverrò per spiegare al pubblico come interagire con il gruppo, partecipando alla musica, magari battendo le mani.

Tactequeté

Componenti

 

 

Antonio Sánchez  percussioni

Xavi Tásies percussioni

Aleix Tobias percussioni

Marc Vila percussioni

Tito Busquets percussioni

Xavi Lozano fiati

Guillermo Aguilar  corde

Campi tecnico del suono

 

Dal 1995, quando incomincia a esibirsi con il nome di Guaranà, la band di Antonio Sanchez, composta da tutti percussionisti, presenta una proposta musicale insolita e molto personale. Tutto ruota, a cominciare dai live show carichi di sense of humour e caratterizzati da una marcata attenzione all'aspetto visuale, attorno alla musica. Propongono un sound coloratissimo, che prende per mano e conduce in universo di ritmi senza fine, che si intrecciano e si sciolgono, che fanno ballare e inseguono il battito del cuore, che rispondono all'incedere del respiro e conducono in territori lontani. Utilizzando percussioni, tamburi e flauti; strumenti di mille provenienze, oggetti di uso quotidiano dalle molteplici possibilità sonore, streel drums, bassi;materiali di recupero e quant'altro (hanno sul palco oltre un centinaio di attrezzi percuotibili), nonché semi e conchiglie di mare che si amalgano in un nuvo stile musicale. La loro musica  attraversa paesaggi sonori della giungla tropicale e arriva fino ai ritmi tradizionali africani, passando per il funky sperimentale o per semplici giochi. Una cosa è certa, i loro concerti non lasciano mai indifferenti.

Il gruppo ha pubblicato due dischi e un dvd dal vivo, e ha collaborato con vari artisti, quali Kepa Junquera, Eliseo Parra, Jazz el Destripador, Misirli Ahmet, Miquel Gil, Azucarillo Kings, la Fura dels Baus, e partecipato alle colonne sonore di alcuni film, tra cui Sexo Por Compasion di Laura Mas e Arachnid di Jack Shoulder.

 Il Bombasin e i Fioi Dea Vecia

 

C’è chi si siede, imbraccia la fisarmonica ed “Hey, senti questa” esclama, cominciando a cantare. Poi un altro si avvicina ed è già un coro. Arriva un terzo, attorno alla tavola con i resti del dolce e del salame che qualcuno ancora spizzica, poi un quarto con la chitarra, e in un attimo tutti “I fioi dla Vecia” stanno cantando “El prim de l’ano”. Chi si siede, chi, suonando cammina, chi si appoggia al vicino. E tutti cantano. E’ così che funziona a Ca Mello, dove questo baluardo della tradizione polesana (una ventina di compaesani, dai 20 ai 70 anni) continua a tramandare i canti dei braccianti del Delta del Po, dal 1953. Luogo di ritrovo preferito, l’ex agriturismo “Caprissio”, nel piccolo comune tollese, di proprietà di Antonio Donà detto, appunto, “Tony Caprissio”, fondatore del gruppo, insieme ad Arcadio Mancin (70 anni), Guido Santin (64) e Luciano Callegarin (60), che ancora oggi suonano la fisarmonica.

 

 

 

 

 

Intervista a “Tony Caprissio” (Antonio Donà)

 

Il gruppo de “I Fioi dea Vecia” vanta una tradizione di oltre cinquant’anni ormai, ma solo recentemente avete cominciato ad esibirvi per il pubblico…

“Qui a Ca Mello siamo cresciuti lavorando nei campi, con questi canti nelle orecchie, che ci sono stati tramandati dai nostri padri. A noi piace il lavoro che facciamo e cantare lo rende anche più piacevole. Il gruppo è nato spontaneamente, negli anni Cinquanta e siamo arrivati fin qui. Siamo contenti che anche chi non è del posto dimostri interesse per le nostre tradizioni. L’anno scorso, quando siamo stati ospiti al Vittoriano a Roma, l’entusiasmo che ci hanno dimostrato ha stupito anche noi”.

 

Oltre ai canti popolari del Delta del Po, però, c’è anche il “Bombasin”, di cosa si tratta?

“La ‘Vecia’ per noi è la befana e infatti le nostre canzoni sono legate alla tradizione della questua che tutti abbiamo fatto fin da bambini, andando di casa in casa con le maschere a cantare, offrendo piccoli doni in cambio di un compenso simbolico, con il quale poi si organizzava una cena tra amici. Il ‘Bombasin’ è un’altra maschera tradizionale di questo genere. Io stesso mi travestivo anni fa da ‘Bombasin’ per la questua dell’Epifania e ricordo da bambino quanto ero spaventato in attesa del suo arrivo. Tutti i bambini lo erano e lo sono ancora, ma alla fine si capisce che non è un personaggio cattivo. E’ questa la tradizione che vogliamo portare avanti anche con i giovani del gruppo”.

 

La presenza di molti giovani nel gruppo significa che le tradizioni sono ancora molto sentite da queste parti. Secondo lei, lo saranno anche in futuro?

“Col passare del tempo è sempre più difficile conservare le proprie usanze, ma pare che ci stiamo riuscendo. Il nostro progetto per dare continuità al gruppo è quello di costituirci in associazione culturale, perché non ci sono solo le canzoni e le maschere qui a Ca Mello. C’è un’oasi che potrebbe diventare una fattoria didattica, dove i bambini possano conoscere gli antichi mestieri, perché non vengano dimenticati. Per quanto ci riguarda, noi ci esibiamo volentieri per il pubblico, spesso ci capita di essere invitati nei ristoranti o alle feste. Ogni occasione è buona per condividere una tradizione a cui siamo tanti legati”.

 

“I Fioi dea Vecia” entreranno in scena a sorpresa durante il concerto serale di sabato 13 settembre (Auditorium Cen.Ser, ore 21).

Conservatorio Statale "F. Venezze" di Rovigo

 

Due giorni di follia. E’ così che il Conservatorio musicale rodigino ha deciso di partecipare per la prima volta al Festival “Ande, Bali e Cante” e, contemporaneamente, di portare a termine un progetto ideato da Carlo De Pirro, professore dell’istituto scomparso prematuramente, che al tema della follia aveva dedicato tante energie. E’ proprio a lui che questa settima edizione dell’evento è dedicata ed anche per onorarne la memoria docenti e studenti del Conservatorio si esibiranno in un concerto per solisti sul tema della follia di Spagna (giovedì 11 settembre alle 21 nella sala concerti del Conservatorio) e saranno tenuti due giorni di stage di danza barocca, dal titolo “La follia” (nell’anteprima di mercoledì 10 e giovedì 11 settembre, presso il Conservatorio).

“Il tema della follia nasce musicalmente tra il Quattrocento e il Cinquecento – spiega il direttore del Conservatorio Luca Paccagnella – ma viene ripreso successivamente da moltissimi musicisti, da Bach a Corelli allo stesso Vivaldi, e nel periodo barocco si traduce anche in una danza. Non è solo musica, è un messaggio che arriva al pubblico, il tentativo di scatenare sensazioni ed emozioni forti”.

 

La partecipazione del Conservatorio al Festival di musica popolare rappresenta un segnale forte di apertura dell’Accademia nei confronti di generi musicali diversi ed apre le porte alla contaminazione.

“E’ un segnale voluto, un’apertura verso i confini per andare oltre i confini – sottolinea Paccagnella – e non si ferma qui. A giugno abbiamo ospitato uno stage sulle percussioni del Ghana, dei nostri 700 studenti sono già un centinaio quelli della nuova sezione di jazz, nata quattro anni fa. Dopo essere divenuti un’università a tutti gli effetti abbiamo dato spazio agli scambi internazionali fino ad avere 17 posti Erasmus in tutta Europa e, per quanto riguarda le discipline, puntiamo ad ampliarci fino ad includere anche musica iraniana e giapponese, in futuro, offrendo sia corsi di tipo universitario che lezioni per chi ama la musica a tempo perso. L’importante è che fuori da queste mura il Conservatorio non sia percepito come un tempio, perché la musica è per tutti”.

Per quanto riguarda il programma del Festival in senso stretto, gli stage saranno tenuti da Letizia Draghi, ballerina professionista, che danzerà e insegnerà a danzare, sulle note della follia di Corelli.

“Abbiamo preso il tema della follia e abbiamo raccolto un insieme di brani che ne rappresenta l’evoluzione attraverso i secoli – racconta Monica Paolini, docente di chitarra al Conservatorio “F. Venezze” ed organizzatrice dei due appuntamenti – Durante il concerto saranno suonati brani di vari compositori, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania all’Italia, dal Cinquecento all’Ottocento. Gli stages invece saranno incentrati sulla danza che a queste musiche è stata associata e che era molto in voga nel periodo barocco”.