« I Carbonari del Polesine e la liberazione di Rovigo » rappresenta una parte della « Cronaca di Rovigo vigesima terza » che Nicolò Biscaccia pubblicò nel 1866: ma è una parte che può costituire argomento a sé, e che effettivamente merita di essere isolata come testimonianza di un momento cruciale e definitivo della storia d’Italia e del Polesine.
Da un punto di vista rigorosamente documentario, la « Cronaca » del Biscaccia non è, forse, la fonte più tranquillamente attendibile: esistono altri contributi — magari manoscritti, che attendono la pubblicazione — che possono essere giudicati più utili che la « Cronaca » del Biscaccia. Ma il testo del nostro autore ha una carica passionale che ne fa una testimonianza per certi aspetti unica, di quei momenti; che ci riporta a quei giorni con una vivezza che lo storico deve ignorare se aspira a fare un’indagine critica (essendo ormai scontato che non può fare un’indagine obiettiva); e che per questo diventa documento prezioso non tanto dei fatti, forse meglio ricostruibili sui documenti d’archivio, quanto degli stati d’animo, delle emozioni, delle ansie, e degli entusiasmi che accompagnarono il Risorgimento anche da noi.
Il Biscaccia non fu certo un grande scrittore: ma proprio per questo la sua testimonianza diventa preziosa. Il suo desiderio di far apparire generale e profondo l’entusiasmo per la liberazione del Polesine e in particolare di Rovigo, cede di fronte alle esigenze del cronista che osserva i fatti ad occhio nudo, senza osare di inforcare le lenti dello slancio creativo del poeta: e ci fa sentire come, in fondo, il patriottismo risorgimentale sia stato soprattutto un fenomeno di élite, specialmente da noi. Anche se tenta di far passare per magnanimità nei confronti degli austriacanti rimasti a Rovigo dopo il 10 luglio, quella che si può legittimamente intendere per sostanziale indifferenza della popolazione.
Un’edizione critica di un testo come questo di Nicolò Biscaccia sarebbe stata fatica fuor di luogo: ormai gli studi sul Risorgimento, anche Polesano, hanno cominciato a mettere a disposizione di tutti testi impostati con criteri critici moderni (basti citare gli articoli o i saggi di Alessandro Carlo Bellettato o di Gianluigi Ceruti), per cui notizie criticamente vagliate possono trovarsi in pubblicazioni più specializzate di questa. Qui, come si è detto, interessava riproporre lo scritto del Biscaccia come documento degli stati d’animo nel 1866, senza per questo sottovalutare la « Cronaca » come fonte di informazioni precise (che, però, vanno accuratamente separate da certe notizie evidentemente infondate ma egualmente accolte dal Biscaccia, come alcune relative a Teresa Monti e alla Carboneria frattense).
Per la ristampa del testo, si è curato di rispettare fedelmente lo scritto del Biscaccia, accettando anche gli errori o le forme arcaiche che oggi possono apparire errori, quando rappresentavano costanti stilistiche (p. es.: « quà », « aquartierare », ecc.). Sono stati individuati quattro soli inequivocaboli errori di stampa, e sono stati corretti. Tutti i corsivi sono dell’autore: sono stati rispettati anche se ormai lontani dallo stile odierno. Sono state rispettate anche le grafie dei nomi e dei cognomi, anche laddove erano certamente errate (p. es.: «Arnou» per «Arnaud»), Per quanto riguarda, infine, l’elenco dei danni causati dagli Austriaci, non è, forse, inutile rilevare come nella scrittura dei numeri usata dal Biscaccia, la virgola sia usata con la funzione che oggi è assegnata al punto, e i due punti con la funzione della virgola.
Leobaldo Traniello
In copertina:
Piazza dei Signori (ora Piazza Vittorio Emanuele II) di Rovigo, in un dipinto di Francesco Dalla Libera. (collezione B. Granata)