Un convegno sul mais in Polesine, a Badia Polesine, ha più di una ragione dalla sua. Il Polesine per secoli è stato un grande laboratorio, una fabbrica a cielo aperto per sperimentare, saggiare e testare nuove colture, nuove industrie, nuove tecniche. Per secoli granaio della Serenissima, quando è stato il momento si è vocato al riso, poi al mais, poi alla barbabietola da zucchero, con pioneristici zuccherifici, soia, foraggere, colture orticole, frutteti.. .In quegli orizzonti infiniti si sono strappate terre nuove alle acque, con generazioni di scariolanti e di idrovore mosse da monumentali macchine a vapore, creando nuovi paesaggi, si sono incarnate lotte contadine e conquistato nuovi diritti. E dal Polesine, dagli accademici Silvestri, ci giungono importanti e inedite testimonianze. È stata una cosa buona e giusta e un riconoscimento dovuto.
Così, nell’impiantare il programma, abbiamo dato voce a questa terra con più di un contributo, proprio a significare che ha senso celebrare questa storia con una pluridecennale festa della polenta, dove gli ex proletari diventano, con un gioco lessicale suggerito da qualche nume, polentari… con orgoglio.
Tutta la prima parte è dedicata a queste storie, allargando l’orizzonte a tutta Europa, alla funzione che la polenta, ma anche il pane di mais nelle sue molteplici e composite miscele, hanno avuto nel sovvenire la fame, le carestie, nel mutare addentro le abitudini alimentari, nel dare sostanza alle mense contadine senza dimenticare l’immane tragedia sociale della pellagra. E le fonti messe in scena sono tante, in particolare quelle iconografiche e quelle agronomiche, a testimoniare che tra tutti i prodotti dello scambio colombiano il mais ha avuto rapida fortuna ed ha avuto nella Terraferma veneta la sua terra d’elezione.
Fatta e compiuta la narrazione storica si dà voce alla scienza, alle precoci attenzioni che il mais ha avuto da parte degli agronomi e dei genetisti: dagli ibridi trionfi , con la nascita della stazione sperimentale di maiscoltura di Bergamo e della Società polesana produttori di sementi, fino alle nuove ricerche genetiche che hanno permesso di capire il valore delle varietà antiche e del loro patrimonio per allestire su basi certe un programma di recupero di queste popolazioni antiche, per dare un senso al ritorno del consumo della polenta, libera dalla necessità e carica di tutte le valenze storico-culturali che si porta appresso. Certo, l’evoluzione della maiscoltura, spesso targata UE, ci ricorda il primato di questa coltura in terra padana ed in Italia, destinata ad alimentare non solo le rinnovate mense popolari, ma anche proiettata verso nuovi usi, energetici ad esempio.
Non poteva mancare, specie nel dibattito finale, un accenno alle nuove stagioni, al futuro, alla ricerca che procede per la sua strada, come sempre, e sfodera nuove varietà, targate OGM, geneticamente, ma a noi piacerebbe di più, gentilmente modificate. Si è data voce alle parti in causa, ai partitanti e ai dubbiosi , ai contrastanti interessi in gioco., alle paure, alle polemiche: non si accendono gli animi per altre colture, ma per il mais sì, strategico per l’economia agricola.
Il quadro che esce da questo volume è un quadro ricco, articolato, complesso e composito ma comunque decifrabile. Per quanto ancora reggerà tal ruolo questo cereale che viene da lontano, temporalmente e geograficamente? Se il Genovese avesse previsto tutto questo… chissà!
Buona polenta a tutti.
Danilo Gasparini
Immagine di copertina:
L’Estate – 1573 (particolare)
di Giuseppe Arcimboldo (1526-1593)